Lunga vita a The Walking Dead!

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Negli ultimi vent’anni i media hanno avuto cambiamenti radicali sia nel progredire che nel retrocedere, oserei dire che ciò sia avvenuto in egual misura e il mondo del fumetto non è stato certo da meno. Quello che risalta più all’occhio è sicuramente la maggiore attenzione che ottengono oggi titoli e case editrici indipendenti dal più accessibile e celebre genere mainstream supereroistico (DC e Marvel su tutti), non che una Image o una Dark Horse non abbiano testate che lo siano altrettanto nella pratica, tuttavia i fumetti costruiti su idee del singolo autore o disegnatore oggi vantano di attenzioni speciali, di approfondimenti, addirittura di una maggiore pubblicità e fiducia da parte del pubblico, ammettiamolo nonostante i tanti successi della DC-Vertigo negli anni, che contribuirono a spezzare il ritmo incessante e soffocante delle tutine aderenti, non si riusciva comunque a immaginare una così grande apertura del pubblico più generico verso questo tipo di prodotti non necessariamente tutti più maturi ma la maggioranza, rimaneva un genere di nicchia che viveva di passaparola tra lettori o fumettari di fiducia su cui al massimo esercitare il proprio snobismo, se oggi anche solo grazie a un po’ di pubblicità e alla giusta sinossi il ragazzino di turno si lascia coinvolgere facilmente da qualcuno che non spara ragnatele o ha l’auto superfiga lo si deve più che altro a un titolo, piaccia o meno, sopravvalutato o meritevole, commercialata o poesia, il fumetto che più è stato capace in questi ultimi 16 anni di dare filo da torcere tramite numeri di vendita e merchandise agli imperi imprescindibili che si sono a loro volta dovuti adattare al fenomeno: la storia semplice di un ormai ex sceriffo e un gruppo di persone che d’improvviso sono costretti a vivere in un mondo di morti, in mezzo agli zombie le avventure di Rick Grimes, famiglia e soci ci hanno raccontato le relazioni e i sentimenti umani in un tipo di storia che se ne fregava di cause scientifiche o razionali, riportando l’horror al suo genere base e solitamente più potente, quello metaforico del malessere, dei sentimenti, della cattiveria, della crescita, della sopravvivenza e della mancanza. Questo è The Walking Dead di Robert Kirkman, cominciato nell’Ottobre del 2003 e conclusosi col numero 193 il 3 Luglio 2019… e questo è il saluto che voglio dedicare all’ultima serie di fumetti a cui abbia veramente voluto bene.

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Non voglio fare un noioso rewind degli eventi importanti o esaltare la serie in modo cieco, vorrei ricordare cosa è stato e cos’è oggi per me. Quando conobbi questo fumetto la mia vita era un’altra, vivevo ancora nella mia città natale, avevo un altra età e un po’ più di compagnia forse, un po’ come tutti i giovani adulti prima di staccarsi dal nido, sentivo parlare di questo titolo nel sottobosco in fumetteria o tramite articoli sul web, chiaramente grazie anche all’altrettanto famosa serie televisiva (di cui oggi non voglio tessere ne lodi e né insulti dato che ad un certo punto prende vita propria come tante altre trasposizioni, non è questo il contesto adatto, non m’interessa), ammetto che non mi fidavo più di tanto, pensavo come al solito che la gente si lasciasse trasportare dalla visione di un po’ di sangue e basta (e per carità, per alcuni sarà stato sicuramente così), non mi sono mai piaciute le storie con gli zombie anche nella mia ex ignoranza del genere non mi attiravano proprio, anche quando me ne parlò il mio ragazzo niente da fare! Tutto cambia all’improvviso, un giorno  quando distrattamente mi cade l’occhio sugli albetti del fumetto  in camera sua, comincio a sfogliarli e guardare situazioni, personaggi, leggerne i dialoghi e qualcosa in quel bianco, nero e grigio dei disegni (scelta pure questa coraggiosa) mi fa provare dei brividi ma non di paura, mi trasporta in un’atmosfera che riesco a sentire tangibile, nell’atmosfera di tante giornate “no”, di quando non si vince, si viene umiliati, si pensa di rimanere soffocati dal sistema e dal tempo, e come si dice? Beh… che le migliori storie d’amore sono quelle che nascono dall’odio no?  Issue_1

Storia d’amore, sì, perché come ogni lettore sa, che siano libri, fumetti o entrambi, leggere è come amare, è un’esperienza intima come poche, siamo solo noi e cosa leggiamo in qualche modo funge da specchio per i nostri limiti, gusti, esperienze, età, persino nella reazione finale in cui ci si dichiara eternamente o si divorzia in modo repentino oppure si è sempre saputo che era una sveltina e basta; l’unica differenza è che un fumetto risulta comunque più filtrato di un libro avendo le immagini e quindi anche l’occhio inevitabilmente vuole la sua parte, beh The Walking Dead è uno di quei fumetti che difficilmente non rimane impresso e non riesce a stregare anche per questo motivo, non per la bellezza della tavole, qua non c’è perfezionismo o ricercatezza, qui la scena la danno le ombre e le chine, il tratto è più grezzo, l’immagine d’impatto o la violenza pur essendo studiata per rimanere nell’occhio della mente, non lo sembra mai. Ricordo perfettamente tutti i momenti che hanno determinato un’evoluzione nella storia, la dipartita scenica e non di un personaggio o addirittura un semplice bacio e questo non tanto per come venivano proposte ma perché riuscivano ad avere quel solido e potente background nelle caratterizzazioni e nella coscienza di dove voleva arrivare la storia che ad altre serie o fumetti manca. Lo story-telling e il coinvolgimento profondo, crudo nelle vite dei personaggi più che l’arte la fa da padrone qui e, così sembra non tanto di leggere un fumetto ma proprio un lungo romanzo grafico, sembra quasi non esistere quel famoso filtro fumettistico. Abbiamo parlato della storia nelle nostre recensioni degli omnibus qui e qui, potrei mettere a testamento che fino alla fine del secondo omnibus TWD fila liscio come l’olio, piacevole tra gioie e dolori, d’intrattenimento ma profondo, prolisso dove necessario e silenzioso quando sono le immagini a dover trasmettere, sembra che anche i luoghi desolati raffigurati nei vari story- arc possano comunicare, con l’arrivo del terzo omnibus, ahimè, comincia piano piano a zoppicare la trama, dopotutto la perfezione non esiste e quando esiste è cosa rara.  bc38006e58050bec966e38.81377462_edit_img_facebook_post_image_file_40848466_1462032000

Quello che diventa il più famoso e seguito story-arc nel fumetto, non è decisamente il migliore qualitativamente, mi riferisco alla storyline che introduce Negan e i suoi uomini, dopo una delle scene più iconiche di sempre tramite la morte straziante di uno dei più longevi fra i protagonisti all’epoca, comincia in modo impercettibile all’inizio il declino, l’azione è alle stelle, labirintica e si susseguono piccoli colpi di scena, quello che risulta più riuscito è l’aver trasmesso in pieno la sensazione della guerra fra fazioni diverse e l’aver creato personaggi nuovi interessanti forse gli ultimi davvero tali ma in tutto ciò cominciavano le forzature, mi spiego meglio: TWD non ha mai dimenticato di essere un fumetto nonostante gli argomenti ampi che trattava, alcune tamarrate tipiche del genere non sono certo cominciate con questa parte di storia (qualcuno ha suggerito la fighissima entrata in scena di Michonne?), eppure sono sempre state talmente diluite o mascherate tramite altro che ci si faceva caso nel modo giusto, risaltava una sorta di realismo anche nel surreale, da quest’arco in poi  invece si comincia piano piano a notare di più l’irrealtà tipica e totale del genere fumettistico, dall’immortalità assurda di Negan (chiaramente perché il personaggio ha avuto un successo inimmaginabile) ad altre forzature per allungare il brodo che hanno reso quest’arco caotico ma tuttavia apprezzabile e con un’ottimo finale che riusciva davvero ad essere punto di svolta e di chiusura metaforico alle esperienze che il gruppo di Rick ha vissuto sin dai primi numeri “on the road“, puntando così verso nuovi obbiettivi, in particolare voler raccontare come ottenuta la stabilità bisognasse anche mantenerla, ricostruire finalmente un mondo morto.

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Quando pochi giorni prima di mercoledì ho letto l’annuncio della conclusione del fumetto, improvvisamente al numero 193, ne sono stata scossa, immagino che tutti i lettori abbiano provato la stessa cosa, da un bel po’ di tempo continuavo a ripetere che era meglio concludere, che il fumetto non ne avrebbe giovato ad andare avanti e che potesse presto diventare la vera parodia di se stesso, una cosa che questo fumetto non meritava di essere. Dopo aver subito la scossa, nonostante il piccolo dispiacere dell’addio ho subito capito e apprezzato che Kirkman, poco importa della mossa marketing o meno, avesse in un certo modo ammesso i propri limiti alla fine e abbia fatto davvero l’unico gesto d’amore che poteva fare per la sua creatura, lasciarlo, dire basta, dopotutto ci vuole coraggio anche per questo. Gli story-arc dal salto temporale del “post guerra”, nonostante argomenti e situazioni interessanti non hanno mai brillato veramente e hanno sofferto di una ripetitività assurda seppur con significati diversi, in pochi sprazzi riuscivo a intravedere il fumetto che avevo tanto amato, traspariva palpabile l’indecisione dell’autore, si buttava carne al fuoco per svilupparne poi solo un 20% e buttarne subito altra per continuare ad andare avanti, c’era la paura di abbandonare certi personaggi che non avevano più molto da dire o di fargli fare certi passi importanti molto prima per concluderne i percorsi, oltre alla ricerca di qualche freak di troppo che ottenesse l’effetto Negan e lasciti di personaggi mal sviluppati. Speravo che il salto di tempo determinasse una sorta di cambio del cast a cui dedicarci, ad esempio le giovani leve, uno su tutti Carl Grimes che molte volte nell’arco dell’intera storia è riuscito a rubare la scena al padre, ma nonostante la dedica di qualche pezzo importante non si costruisce pienamente un background completo nell’ultima parte per arrivare al finale, risulta qualcosa di non detto o tagliato nella dedizione a lui, insomma, in generale non sentivo più la vera presa di posizione decisa che fino a quel momento Kirkman aveva portato avanti con o senza scontentare i fan, perciò TWD negli ultimi tempi, almeno per me, era diventato davvero SOLO un fumetto, seppur di una qualità che rimaneva sopra la media, ma che più si avvicinava al genere 916189-001con cui concorreva, e questa faccenda si collega forse all’unica cosa che nel complesso non mi ha convinta in pieno della storia nel suo finale, o meglio, risulta bella e poetica, ma non la sento parte di questo contesto e quadro generale nonostante avessi sempre inteso che TWD parlasse principalmente di speranza e di vita utilizzando la morte.

DA QUI IN POI SONO POSSIBILI SPOILER O COMUNQUE ILLAZIONI CHE POTREBBERO FARVI CAPIRE COSA SUCCEDE.

Il fatto di ridurre il tutto alla storia di come un solo uomo può cambiare il mondo non l’ho trovata coerente, l’ho capito e condivido il messaggio finale preso singolarmente e probabilmente tutto ciò è solo un problema mio, ma non l’ho mai intesa come SOLO la storia di Rick Grimes. Rick tiene sicuramente legato tutto e tutti ed è il protagonista della vicenda, eppure farne una sorta di figura storica in ciò che è rimasto, non mi sembra credibile in questo contesto, mi sembra sempre una scelta da “fumetto”, insomma una cosa tipica della narrativa in stile “prescelto” o destinato, o a un qualunque Superman, credo che TWD potesse raggiungere lo stesso scopo e forse elevare ancora di più la figura del suo protagonista semplicemente lasciandolo alla fine nel cuore delle persone che aveva aiutato, quella che abbiamo letto sarebbe diventata forse solo una delle tante storie che non abbiamo vissuto o visto nel mondo di TWD e che confluivano nel finale e nella ricostruzione del mondo, in questo caso quello di Rick sarebbe diventato un nome in mezzo a probabili altri che avevano aiutato o raggruppato sopravvissuti cercando di riparare l’impossibile, l’avrei trovato un finale più onesto e coerente con l’intero spirito dell’opera; insomma vuoi davvero dirmi che in tutta l’America o in buona parte di essa nel viaggio lui era l’unica anima rivoluzionaria tormentata ma buona alla fine? Vuoi dirmi che il motivo per cui incontravano sempre stronzi era questo? Mah, invece che elevare la questione mi è sembrato sminuirla e dargli un senso poco reale o semplicistico, Rick chiaramente doveva entrare nella storia di un nuovo mondo ma non da unico esempio, devo dire che nonostante la mia perplessità in questo lato della faccenda c’è comunque una costruzione dietro, non spunta fuori dal nulla, almeno quello. La cosa più interessante in generale è comunque la connessione prima lontana e alla fine di nuovo vicina fra Rick e Carl,  il mondo infatti cambia ancora, muta, l’essere fuori dal proprio tempo per Rick e soci di una volta diventa il presente di Carl e gli altri nel nuovo mondo.

FINE POSSIBILI ACCENNI SPOILER

Dopo quest’ultima parte immagino che chi non l’ha mai letto e si sia voluto fare spoiler o meno non sia poi così invogliato da questa parte del finale o da questo fumetto, invece gli ultimi due numeri  compreso il finale sono stati costruiti in maniera eccelsa esattamente come ai fasti della serie. Ho sempre immaginato il finale proprio così com’è avvenuto, e questo è un male? Poco originale? Forse.. ma necessario e giusto, una serie del genere con la sua longevità e dai soldi abbastanza facili poteva giocare su qualsiasi altro finale, avere l’effetto shock, la tragedia totale, persino l’happy ending, invece sceglie di rimanere equilibrato e ha il coraggio di dare la soddisfazione al lettore pur sempre facendolo rimanere con i piedi per terra, facendogli capire che non c’è cura pur essendo noi la cura a tutto. Qualcosa di agrodolce veramente, una pace davvero che fa commuovere e sorridere al contempo.

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Perché leggere The Walking Dead quindi? Beh, oggi sono sulla soglia dei 30 anni, sono cambiate un bel po’ di cose e persone nella mia vita da quando cominciai a leggere questo fumetto, sicuramente sono più consapevole e meno spensierata ma sopratutto oggi riesco ad apprezzarne il senso, e sapete perché ? Perché sono riuscita a sentire come abbia parlato anche di me e della mia vita, della vita di un po’ tutti quanti, quando siamo miserabili e ci autocommiseriamo, quando siamo disperati e facciamo cose terribili, quando amiamo fino a diventarne ciechi, quando subiamo e si cerca vendetta a tutti i costi, quando ci sacrifichiamo per qualcosa di meglio e poi, quando ci ha raccontato la cosa forse più dura da ammettere, quando ci ha raccontato la mancanza, quel vedere cose e persone intorno a noi che si spengono, ci lasciano e cambiano. Nell’epoca del nostalgismo e dei remake a tutti i costi, nell’epoca del non voler morire e del non riuscire a vivere, qualcosa ispirato da vecchi classici horror e dalla tipica letteratura del genere mi ha insegnato che non è mai a prescindere un male il cambiamento, anche quello doloroso e che fatichi ad accettare, anche quello che potevi evitare, che non si ci deve impuntare mai e che ci vorrà pure coraggio per andare avanti nonostante tutto e mantenendo noi stessi integri ma si può.

Quando l’altro ieri ho letto il finale ho rivisto in un certo senso il suo inizio, mi sono guardata attorno e ho pensato che mai come in questo momento della mia vita o in questa età, tirando le somme mi sembra di aver vissuto in mondi diversi, per tutti arriva il momento in cui si ci accorge vividamente, tralasciando le esperienze personali, di un cambio generazionale, The Walking Dead non giudica questo e non sputa sentenze su quando era meglio o peggio, ti fa vivere il perché cambiare è semplicemente la natura non solo del tempo e delle cose ma anche la nostra, inevitabile, pochi fumetti non hanno quest’arroganza e danno questo senso di continuità nella storia rispecchiando fasi diverse della nostra vita e se questo non vi basta, beh uno sguardo al gruppo di non eroi che con un po’ di vestiti zuppi, spade e cappelli è riuscito a ridimensionare e a far chinare la testa agli dei va dato per forza! In effetti sì, ora che ci penso forse Rick una statua se la merita.

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Immagino che fra qualche tempo butteranno fuori qualche speciale, o breve spin-off, e dal domani ipotetico di questi giorni si cercherà la nuova ossessione o cavallo di punta alla Image. Nel frattempo penso al 2020 e mi pregusto il fatto che con l’uscita dell’ultimo omnibus potrò rileggermi per intero l’opera tutta di fila, perché la verità in questo caso sarà pure retorica ma certe cose rimangono sottopelle e sono sempre con te. E Adesso? Adesso è finita sul serio, adesso si vive… come sempre.

Grazie Kirkman per aver capito in tempo che The Walking Dead non meritava la fine di altri fumetti, però la prossima volta niente annunci collassi due giorni prima.

Grazie a Tony Moore che ha disegnato i bellissimi primi numeri e a Charlie Adlard che ha disegnato tutto il resto, non sarebbe stato lo stesso fumetto senza questi disegni e le chine di Stefano Gaudiano, peccato Charlie per qualche derp negli ultimi numeri…

Grazie a Saldapress che lo ha portato in Italia in più edizioni, bellissime per ogni esigenza e gusto.

Grazie a Rick e soci per la compagnia, le emozioni, le risate, i pugni allo stomaco e l’aver preso una ragazzina delusa dai supereroi facendole vedere che c’è sempre un mondo più grande, sono contenta che sia finita ma mi mancherete lo stesso.

Grazie all’ultimo fumetto che probabilmente amerò in un modo così giovanile, puro e adolescenziale, perché solo a quell’età si può amare così.

Grazie a voi che siete riusciti a leggere fin qui.

Ciao ragazzi! 

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9 Risposte a “Lunga vita a The Walking Dead!”

  1. Mi sono fermato ai possibili spoiler perché sei pericolosa! Che poi spoileri anche su Glenn, si capisce dalla vignetta e quando dopo dici che muore un personaggio longevo. Ma tanto me lo avevi già spoilerato sul forum, maledetta! 😝

    Ho iniziato la mega maratona proprio ieri, temo un po’ il calo di cui hai sempre parlato ma per ora mi rigodo i primi 11-13 volumi che avevo divorato 6 anni e mezzo fa, uno a notte durante le vacanza di Natale 😍
    Da martedì suo blog! Ovviamente saranno post brevi 😁

      1. Ma per me è spoiler anche se mi dici che alla fine de La Morte di Superman, Superman muore 😂
        Potrebbe sempre essere un titolo fuorviante 😅

        1. hahaha! Ma no dai! Sul serio ormai di Glenn lo sanno anche i muri dopo che ci fanno pure action figure per ricostruire la scena!
          Però si Mea Culpa ricordo! Come sai non seguo da un bel po’ la serie tv e non l’ho mai seguita bene di fila quindi non mi pronuncio, sui volumi dei fumetti, guarda come al solito è un discorso soggettivo, c’è chi ha sentito poco la differenza, c’è chi il calo l’ha addirittura sentito prima di me ma c’è anche chi dopotutto si aspetta una sorta Resident Evil prima o poi con Umbrella Corporation etc… ergo ci ha capito poco delle priorità di TWD o di cosa racconta, quindi sarò curiosa di sapere come ti sarà sembrato 🙂

  2. E’ un peana pieno d’amore, difficile contestarne qualcosa.
    Io la mollai con il numero 51 del bonellide da edicola, ma scoprendo adesso che è prossimo alla conclusione non avrei venduto tutti i volumi e magari avrei aspettato di leggerne il finale. Però all’epoca ero convinto durasse praticamente per un decennio ancora, e preso dall’ansia di collezionare ancora un qualcosa senza fine, non ce la feci più.

    1. Ti capisco, anche io ho fatto fatica in ogni caso a seguirlo, sia quando mi coinvolgeva sia quando ha cominciato a girare su stesso andando oltre la ripetitività, pensai di mollare la lettura definitivamente più volta, ma non ce la feci mai un po’ perché seguivo ormai pochi fumetti e un po’ per affetto, sicuramente ora che è finito è un’altra cosa pensarci e magari riuscire anche a goderselo o rivalutarlo chissà.

  3. Sono contento che la serie si sia conclusa e che lo abbia fatto con una storia che tutto sommato tira egregiamente le fila delle tante annate di storie trascorse.
    Un finale che punta al cuore ed alla pancia piuttosto che al cervello e che lascia tanti punti aperti. Magari anche un po’ furbettamente chi lo sa…

    1. Eh si, un po’ furbetto, infondo non sia mai che tra qualche anno tirano fuori qualche spin-off o un focus speciale su qualche personaggio, anche breve come Kirkman ha già fatto, sinceramente preferirei così che non qualcosa di lungo, e a dirla tutta mi va anche bene non facesse proprio più niente, lasciando all’immaginazione tanto cose.

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