Che Neon Genesis Evangelion non fosse una serie anime come le altre è una cosa assodata. Non solo perché nel 1996 diede uno scossone all’animazione giapponese ma soprattutto perché per Hideaki Anno era un opera altamente personale e intima. Evangelion per Anno era un modo per esprimere il proprio disagio. E lo stesso vale per Rebuild of Evangelion, tetralogia cinematografica cominciata nel 2007 e conclusasi solo nel 2021.
Rebuild funge apparentemente da remake della serie classica per poi trasformarsi in un una sorta di sequel. Anno torna sulla sua opera più famosa non più per esprimere il proprio disagio ma per esorcizzarlo del tutto.
Sarò un po’ cinico. Mi fa piacere sapere che Anno abbia superato i propri problemi e trovato finalmente la serenità ma personalmente preferivo la sua visione depressa che non quella vista in Rebuild of Evangelion. Nonostante tutti i problemi legati alla produzione che purtroppo gli misero i bastoni tra le ruote continuo a preferire la prima versione anime.
Nelle intenzioni Rebuild, pur riallacciandosi al finale della serie classica, voleva essere una nuova versione accessibile a tutti. Ma nei fatti, a mio modesto parere, non lo è. Non lo può essere.
Può essere vista sicuramente autonomamente ma senza aver visto la serie anime ci perde notevolmente in approfondimento psicologico e caratterizzazione per gran parte del cast. Ad esclusione del solo Shinji, e ci mancherebbe che il protagonista principale non trovi spazi. O Kaworu Nagisa, personaggio fin troppo sacrificato nell’affrettato finale originale, che qui trova finalmente una ragione d’essere svolgendo anche un ruolo molto importante. Mentre i personaggi nuovi quasi non hanno alcun approfondimento. Cosa che poi porta a cozzare il significato dato all’opera con alcune scelte narrative, ne capisco il senso ma razionalmente non le condivido. Quindi preferisco vedere questo Rebuild come un qualcosa da integrare alla serie classica piuttosto che come un suo sostituto o un alterativa.
Il primo film, Evangelion 1.0 You Are (Not) Alone aggiunge poco e niente alla storia originale, di fatto ripropone i primi sei episodi in una nuova veste grafica. Il secondo film, Evangelion 2.0: You Can (Not) Advance, conclude la storia originale spingendo sull’acceleratore e rimescolando notevolmente le carte in tavola per poi esplodere con i due sequel, 3.0: You Can (Not) Redo e 3.0+1.0: Thrice Upon A Time. Qui viene narrata una parte totalmente inedita che apparentemente sembra complicare ulteriormente la storia ma che in realtà è molto più semplice e immediata nel suo significato. Si rivolge sempre agli otaku. Li invita a crescere e ad accettarsi per quello che sono. Magari non prendendo alla lettera quel “mondo senza Evangelion” che vediamo alla fine della storia.
Personalmente ho trovato gli ultimi due capitoli eccessivamente lunghi. Si perdevano in interminabili sequenze mecha utili solo a fare minutaggio e a far sbavare gli stessi otaku che intende criticare, vi basti pensare al decollo della base Wunder. Per fortuna nell’ultimo film nella sua prima parte si è preferito prendersi una pausa e tornare sui personaggi piuttosto che sugli scontri tra robottoni che comunque trovano il loro spazio nel finale.
Bellissimo a livello estetico, Rebuild of Evangelion rappresenta indubbiamente un apice per l’animazione giapponese ma,a costo di risultare impopolare, non credo possa avere la stessa forza e lo stesso impatto che ebbe all’epoca la serie originale. Rebuild è un ottimo prodotto ma niente di rivoluzionario, non che questo sia un obbligo per un anime o qualsiasi altra forma narrativa ma Rebuild non aggiunge realmente molto, né all’animazione né alla storia originale, se non l’espressione della pace raggiunta da Anno stesso superando la “maledizione degli Eva”.
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