Lo scorso febbraio avevo concluso la recensione della prima stagione di Daredevil dicendo di aver iniziato di Jessica Jones, beh in realtà non credo di essere andato oltre il terzo episodio ma in compenso ci siamo sparati subito tutta la seconda stagione del Diavolo di Hell’s Kitchen, quanto a Jessica arriverà anche il suo momento. Ma son passati alcuni mesi dalla visione di Daredevil 2 e non so nemmeno quanto senso abbia parlarne dopo tutto questo tempo e parlare di recensione forse è un po’ esagerato. Partiamo col dire che questa seconda stagione è per forza di cose diversa dalla prima, che era la classica (ma neanche tanto) storia delle origini, ora non c’è più la necessità di introdurre l’eroe e i suoi comprimari ponendo le basi per la serie ma c’è la necessità di costruire a partire da quelle basi introducendo nuovi elementi… che portano il nome di Frank Castle ed Elektra Natchios.
Il primo è forse il più famoso antieroe della Marvel Comics (dopo Wolverine si intende), la seconda è uno dei personaggi fondamentali della mitologia del cornetto ma tra i due ad uscirne davvero bene nella serie è indubbiamente Frank, non è un caso infatti che il meglio di questa seconda stagione, quella davvero al livello della prima, sia tutta la parte riguardante il vigilante, la seconda parte con Elektra e La Mano non mi sento di dire che sia davvero riuscita, ciò non significa che sia brutta ma indubbiamente non è stata gestita al meglio.
Non un personaggio facile da trasporre su schermo quello di The Punisher (personalmente avrei tradotto il nome, l’articolo in inglese prima del nome boh fa un po’ rock band ma ormai va di moda così che fa più figo), già ci avevano provato per ben tre volte al cinema mai riuscendoci pienamente. Prima con il volto di Dolph Lundgren sul finire degli anni ’80 in un pessimo film tristemente chiamato in Italia Il Vendicatore (nome poi usato anche nella versione italiana di Spider-Man The Animated Series degli anni’90, ve lo ricordate?), poi fu la volta di Thomas Jane nel mediocre film semplicemente chiamato The Punisher del 2004 (che tutto sommato a me piaciucchia pure) e infine di Ray Stevenson in Punisher: Zona di Guerra del 2008, un semi reboot che non teneva conto del film precedente e che faceva parte dell’ormai morta etichetta cinematografica Marvel Knights che aveva come scopo quello di realizzare film Marvel per un pubblico più maturo, perché i produttori erano straconvinti che per fare un bel film su Punisher la cosa più importante fosse il sangue, tanto sangue. Succede poi che Marvel Television e Netflix si ricordano che oltre al sangue per far bene un personaggio del genere bisogna anche scriverlo bene. Quello che spesso sfugge a parte del pubblico è che la violenza e il sangue in un film o serie tv non necessariamente sono sinonimo di maturità (così come essere estremamente seri e cupi, qualcuno ha detto Batman v Superman?), semplicemente portano il prodotto a non essere adatto ad un pubblico giovane ma non viceversa, perché il sangue di Punisher: Zona di Guerra è fine a se stesso, non ti trasmette altro e finisce con l’essere un film d’azione come tanti altri dei vari Steven Seagal e compagnia (non che ci sia nulla di male eh). In Marvel’s Daredevil di sangue ce n’è abbastanza senza scadere nello splatter gratuito ma per rendere credibile il Punisher di Jon Bernthal, a cui bisogna fare davvero un applauso per quanto è stato bravo e per come ci sta bene nella parte (perché non basta solo somigliare al Punisher di Tim Bradstreet come Ray Stevenson, bisogna anche recitare!), il sangue è solo una cosa secondaria, infatti non è stato necessario mostrarci la tragedia della famiglia Castle come nel film del 2004 (dove hanno un tantinello esagerato sterminando tutto l’albero genealogico dei Castle, non scherzo eh), ci è semplicemente stata raccontata in uno dei tanti confronti tra Frank e Devil, un racconto molto personale e da un punto di vista soggettivo in grado di coinvolgere maggiormente lo spettatore e di trasmettere davvero il suo dolore, è molto più forte e potente immaginare la sua tragedia che non vederla semplicemente da spettatore. Non a caso i momenti più belli sono dati proprio dai confronti ideologici dei due vigilanti, bellissimo l’episodio in cui Matt è legato sul tetto, un episodio totalmente privo di azione, ancora una volta a sottolineare come la violenza non sia necessaria pur parlando di gente che dispensa giustizia menando i cattivi, in cui la morale di uno si scontra con la morale dell’altro, con pro e contro sia da una parte che dall’altra.
Filo conduttore di questa seconda stagione sembra essere lo scontro morale tra l’eroe cieco e le new entry, infatti anche Elektra, interpretata da Elodie Yung dall’aspetto più esotico e mediterraneo rispetto a Jennifer Garner (la Elektra cinematografica, uno dei peggiori casting di sempre), ha un diverso punto di vista sull’argomento ma oltre a voler fare da contraltare all’eroe il suo ruolo è quello di fare da contraltare a Karen Page, l’interesse amoroso di Matt Murdock, mettendo a confronto le due relazioni, una più libera e sincera con Elektra e quella fatta di menzogne e mezze verità con Karen. Una sorta di triangolo amoroso ma non fine a se stesso come in altri serial del genere.
Ma come dicevo all’inizio la seconda parte della serie, quella con Elektra per intenderci, non è all’altezza della prima, che non significa che è brutta, si parla pur sempre di una serie di altissimo livello e forse è proprio questo il punto, difficilmente riuscirà a raggiungere le vette narrative della prima stagione. Leggermente inferiore anche da un punto di vista tecnico almeno per quanto riguarda le coreografie dei combattimenti che risultano meno convincenti. Tutta la parte inerente la Mano pare subire una grande accelerata man mano che ci si avvicina alla fine ma in fin dei conti si parla di piccolezze.
Non vediamo l’ora di gustarci la terza stagione, per cui pare dovremmo aspettare tutto l’anno prossimo, ma soprattutto di poter rivedere Frank Castle nel suo spin-off. Forse per allora avremo davvero visto tutto Jessica Jones!