Brightburn – Recensione

L'angelo del male Brightburn locandina film

Per chi come me è cresciuto pane e fumetti non è cosa nuova vedere varianti dei propri eroi, versioni reimmaginate degli stessi, ufficiali e non, in cui la loro vita invece di andare per la strada canonica che tutti conosciamo ha deviato per un altra, spesso anche reimmaginandoli in versioni distorte e malvagie. Come Superman. Nei fumetti DC abbiamo Ultraman, controparte malvagia di Superman proveniente da Terra-3, o il Plutoniano protagonista della bellissima serie Irredimibile (Irredeemable) di Mark Waid dei Boom! Studios (e pubblicata in Italia da ItalyComics, recuperatela perché merita), in cui il più grande eroe della Terra ad un certo punto diventa il suo più grande nemico. Per il pubblico dei cinecomics tutto questo è qualcosa di nuovo, più o meno, anche se poi a pensarci bene i vari reboot cinematografici si fondano sullo stesso principio, e per quanto il concetto di doppelganger e controparti malvagie e/o di altri universi sia un espediente abusatissimo nella serialità. Qualcosa in tal senso si sta muovendo ultimamente, in tv abbiamo assistito ad una versione distorta della Justice League nella prima stagione di The Boys, ispirato al fumetto omonimo di Garth Ennis, e proprio in Brightburn, film di David Yaroveski del 2019 e prodotto nientemeno che da James Gunn, tristemente intitolato in Italia come L’Angelo del Male.

Siamo a Brightburn, in Kansas. Una giovane coppia, i Breyer, cercano di avere un figlio ma niente da fare. Un giorno qualcosa cade dal cielo, è una navicella e contiene un bambino. I due decidono di adottarlo. A dodici anni Brandon, questo il suo nome, scopre di avere capacità fuori dal comune come una forza sovrumana e di essere invulnerabile. Le similitudini con Superman si sprecano, anzi la storia è pressoché identica, se non fosse che Brandon scopre le proprie doti dopo essere stato attirato in stato di trance dalla navicella con cui è arrivato sulla Terra ripetendo una frase in una lingua sconosciuta che pian piano si traduce in “prendi il mondo”. Da quel momento in poi Brandon da bravo bambino che era inizierà a cambiare sempre di più, comportandosi sempre peggio, diventando irrispettoso e disobbediente.

Senza troppi giri di parole Brightburn è Superman in chiave horror, un idea fighissima sulla carta quanto pessima nella sua esecuzione. Brightburn parte bene ma si perde in un bicchiere d’acqua non riuscendo ad essere nulla più che un horror in cui una copia di Superman diventa cattivo e uccide gente a più non posso, proponendo tutti i cliché degli horror più banali, come quella cosa per cui i protagonisti invece di fare la cosa più logica finiscono col fare quella più stupida. Non che forzature narrative manchino anche in altri generi ma qua finisce con l’essere involontariamente comica la cosa, col problema che non fa affatto ridere.

Per farvi capire occorre necessariamente fare un paio di SPOILER, proseguite a vostro rischio e pericolo.

In piena notte trovi tuo figlio, quello che è caduto dallo spazio a bordo di una navicella, in stato di trance proprio davanti al luogo in cui tu e tuo marito avete nascosto la stessa navicella spaziale. Ne parli con tuo marito? Macché. Marito che poi lo vede masticare una forchetta, ne fai menzione? Pfff. Vi chiamano entrambi a scuola perché ha sbriciolato una mano (per un usare un eufemismo) ad una compagna. So ragazzate, sarà la pubertà, dopotutto ha i cataloghi di postal market sotto al letto. Tutte cose che nella prima mezzora ti fanno letteralmente urlare allo schermo “è un fottuto alieno teste di mi….a!”, e solo superata questa mezzora iniziano a farsi due domande sulla sua natura, ma non prima di avergli parlato di come giocare col suo pene, sapete, discorsi scemi tra padre e figlio, io personalmente non posso saperlo avendomi fortunatamente risparmiato l’imbarazzo.

C’è che anche dopo la madre continua a negare l’evidenza finché può, accecata dall’amore.

E qui sta forse un po’ tutto il senso del film, se vogliamo proprio provare a dargli un senso più nobile di quello che probabilmente in realtà è (nel caso ve lo foste dimenticato: un ragazzino con superpoteri che ammazza persone, perché poi la trama si riduce solo a questo) e mi riferisco al fatto che certe persone, per quanto amate ed educate nel migliore dei modi sono marce, non importa come li hai cresciuti, la mela rotolerà via lontano dall’albero (e qui diventa chiaro come anche i Kent siano stati fortunati in tal senso) e in parte punta il dito verso quei genitori che non riescono a riconoscere o ad accettare che i loro figli siano capaci di compiere malefatte al suon di “è un bravo ragazzo, non lo farebbe mai”. Ma ripeto, sono io che forse ci provo a vedere più di quel che è.

Il fatto è che non si esplorano mai questi aspetti, né dai genitori che ci fanno la figura degli scemi, né dal punto di vista di Brandon che non ha mai un momento introspettivo su cui si interroga sul suo cambiamento o se sia giusto comportarsi così, cambia da un momento all’altro dopo la scoperta delle sue origini, senza troppe spiegazioni riducendo quella che poteva essere un ottima idea in una banale sequenza di uccisioni.

Pubblicato da Alberto P.

Classe 1985. Gli piace definirsi un amante del buon fumetto. Revanscista. Seguace della Chiesa Catodica. Appassionato di narrativa di genere in ogni sua forma, che sia scritta o per immagini, in movimento o meno, in particolare di fantascienza.

5 Risposte a “Brightburn – Recensione”

  1. O magari c’è (ci voleva essere) davvero quel senso più alto, l’amore cieco e l’educazione e l’attitudine… ma non hanno saputo renderlo… XD

    Moz-

    1. Assolutamente no. Poi può anche intrattenere, ma io dico, l’idea aveva un potenziale enorme, ai cinecomics fanno le pulci per molto meno mentre qua forse con la scusa che è un horror si passa sopra a molte cose. Un occasione persa per poter esplorare aspetti che nei normali cinecomics non vengono mai toccati.

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